Ricevo e pubblico volentieri una breve disanima dell'amico e collaboratore Valerio Donato sulle ragioni del NO al
referendum costituzionale che si terrà tra pochi giorni. Anch'io mi recherò alle urne per cercare di
respingere questo nuovo tentativo di stravolgere l'architettura costituzionale che, nelle condizioni
attuali, rappresenta uno dei pochi diaframmi rimasti tra la precarietà e l'archiviazione certa di un
modello di Stato degno di essere partecipato.
La democrazia ha tanti difetti, molti inemendabili, ma il suo essere oggi sotto attacco da parte delle
forze politiche e sovrapolitiche più proterve e sprezzanti del diritto dei popoli di vivere liberamente,
operosamente e senza paura, è un motivo già sufficiente per difenderla anche in questo caso coi denti.
Sarebbe superfluo e persino imbarazzante aggiungere altro alle parole dell'avv. Donato, tanto che è forse
qui, nel paradosso di ridursi a spiegare l'importanza della rappresentanza ai rappresentati, l'aspetto più
mortificante di questa ultima vicenda referendaria. L'osceno trucco di una classe politica che prima
sfregia a maggioranza bulgara il principio della diffusione dei poteri e poi fa credere di essere la prima
vittima di quello sfregio, offrirà materia agli psicologi, non ai costituzionalisti.
Pur unendomi con convinzione a questa giusta battaglia, registro perciò con amarezza che si deve ancora
e sempre giocare in difesa. E ripetere l'ovvio.
***
Nota: l'Autore ringrazia per i materiali e gli spunti il blog orizzonte48
del presidente Luciano Barra Caracciolo e Arturo, autore di un
fondamentale approfondimento sul tema.
A distanza di 4 anni torna il referendum costituzionale (già respinto nel 2016 e nel 2006). Il 20 e 21
settembre siamo infatti chiamati a decidere se approvare o respingere la legge
costituzionale sul taglio dei parlamentari. Non è necessario il raggiungimento di alcun quorum,
la consultazione cioè sarà valida indipendentemente dal numero di votanti.
La proposta di legge prevede la modifica:
- dell’art. 56, con la riduzione del numero dei deputati della Camera da 630 a 400;
- dell’art.
57, con la riduzione dei senatori da 315 a 200 (ogni regione inoltre avrebbe un numero minimo di
senatori di 3 invece che di 7);
- dell’art.
59, con la riduzione a 5 del numero di senatori a vita.
Per effetto della vittoria del sì quindi calerebbe il numero di parlamentari per abitante, con un
«risparmio» (il virgolettato è d’obbligo perché la spesa pubblica è componente positivo del PIL e il suo
taglio in realtà aumenta e non diminuisce il debito pubblico) di appena 81 milioni di euro all’anno
(un caffè a cittadino). A fronte di questo taglio della rappresentanza popolare aumenterebbe il peso dei
senatori a vita (non eletti) che già oggi possono decidere la sorte dei governi che spesso al Senato si
reggono su maggioranze di 1 o 2 senatori.
Ma non solo. La legge elettorale in discussione che giocoforza dovrà essere approvata dopo la riforma sta
andando in direzione di prevedere liste bloccate senza voto di preferenza, scelte quindi dai partiti, e con
uno sbarramento al 5%. In sintesi, con il sì ci troveremo un Parlamento meno rappresentativo, scelto di
fatto dai segretari dei partiti e nel quale forze politiche di nuova formazione avrebbero enorme difficoltà
ad entrare. Storicamente il taglio dei Parlamentari, realizzato già da Mussolini durante il Fascismo,
è sempre stata una battaglia delle forze liberali.
Umberto Terracini, Presidente dell’assemblea costituente, in merito rispose così: «la diminuzione…
sarebbe… antidemocratic[a], visto che… quando si vuole diminuire l'importanza di un organo rappresentativo
s'incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni». Cioè, ridurre il numero
dei componenti del Parlamento, organo sovrano in quanto diretta emanazione del Popolo, ne limita le funzioni
già peraltro ridotte (si pensi agli stessi vincoli europei).
Con il sì, contrariamente a quanto sostengono i suoi sostenitori, aumenterà la corruzione legislativa: meno sono i parlamentari meno dovrà spendere un ipotetico corruttore per ottenere un provvedimento favorevole (e per rovescio, più sono e più sarà difficile controllarli. Un parlamento numeroso infatti «è collettivamente più forte, perfino se alcuni parlamentari sono disposti a farsi comprare e a lasciarsi intimorire» (così la filosofa della politica Maria Chiara Pievatolo). Altro argomento del sì è che decidere richiede tempo e risorse, e quindi è un costo. È agevole obiettare che secondo questa tesi lo stesso Parlamento dovrebbe essere chiuso per essere sostituito da un singolo dittatore con pieni poteri, autorevole e capace di affrontare misure impopolari e di sostenerle nel lungo periodo (si pensi alle riforme Monti).
Infine, non è affatto vero che l’Italia ha il numero di parlamentari più alto d’Europa: abbiamo (il
raffronto è sulla camera bassa), infatti, un deputato ogni centomila abitanti con una percentuale di 1 (come
UK, simile a Francia, Germania e Olanda con 0.9% e inferiore a Polonia con 1.2% e Belgio con 1.3%).
Percentuali decisamente più alte hanno Austria (2.1), Danimarca (3.1), Grecia (2.8), Portogallo (2.2),
Svezia (3.4), Slovenia (4.4), Lussemburgo (10) e Malta (14.3). Con il sì, per contro, avremmo la percentuale
più bassa pari a 0.7 dell’UE.
Chi scrive, ovviamente, voterà convintamente NO!
Leave a comment